L'arte non si insegna, l'arte si fa
C’è una scritta, scolpita su una facciata elegante, che mi ha fatto fermare.
“SCVOLA D’ARTE” — scritto così, con la V al posto della U, come nelle epigrafi antiche.
Una scritta solenne, austera, quasi sacra. E mi sono chiesta:
si può davvero insegnare l’arte?
L’arte si insegna? Sì.
Si può insegnare a disegnare una figura in proporzione.
A riconoscere una linea di forza. A usare la prospettiva, il colore, le ombre.
Si può trasmettere la storia, la tecnica, il metodo.
Si può educare l’occhio, allenare la mano, affinare il gusto.
Ogni artista — anche il più visionario — parte da lì: dallo studio.
Dalla disciplina. Dall’imitazione dei maestri, dalla pazienza dell’esercizio.
Ma l’arte si insegna? No.
Perché l’arte, quella vera, non si insegna come una regola di grammatica.
Non si trasmette come un’equazione.
L’arte si accende.
È qualcosa che si muove dentro, che non obbedisce. Che non segue uno schema.
Si può insegnare a dipingere bene. Ma non si può insegnare a dire qualcosa.
Quella voce lì — quella visione — è solo tua.
E una scuola, al massimo, può aiutarti a riconoscerla, a darle spazio, a non soffocarla.
Una scuola d’arte è un luogo fragile e prezioso
È un terreno fertile, non un manuale.
Non ti dice cosa devi essere. Ti chiede: cosa hai da dire tu?
E ti dà gli strumenti per scoprirlo.
Quella scritta antica sulla facciata mi sembra oggi una dichiarazione di fiducia.
Una scuola d’arte crede che ci sia arte in ognuno di noi.
Non da “imparare”, ma da far emergere.
Perché l’arte non si insegna. Si coltiva.
Con rigore, sì. Con metodo, certo.
Ma anche con ascolto, spazio, libertà.
E in quel cammino, a volte, una scuola può cambiarti la vita.
Non perché ti dice chi sei, ma perché ti aiuta a diventarlo.
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